Il giudizio abbreviato: rinunciare all’impugnazione della condanna può aprire la strada alla sospensione condizionale della pena

La Corte costituzionale ha stabilito che chi viene condannato in un processo abbreviato e non presenta appello deve poter beneficiare della sospensione condizionale e non avere la condanna registrata nel suo certificato penale, a patto che la pena dopo essere stata ridotta di un sesto in accordo con la “riforma Cartabia” non superi i due anni di reclusione. Questa decisione è il risultato della sentenza numero 208, depositata oggi, che ha risposto a una questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP del Tribunale di Nola riguardo alla nuova legge introdotta dalla riforma.

Nel caso in questione, un individuo era stato condannato a due anni e quattro mesi di reclusione con rito abbreviato e aveva rinunciato all’appello, ottenendo così l’ulteriore riduzione di pena ora prevista dalla riforma. Il giudice dell’esecuzione aveva quindi ridotto la pena a un anno, undici mesi e dieci giorni di reclusione. Tuttavia, il condannato aveva anche richiesto di poter beneficiare della sospensione condizionale e della non menzione della condanna, benefici normalmente concessi quando la pena effettivamente inflitta non supera i due anni di reclusione.

Il problema era che la riforma non conferiva specificamente questo potere al giudice dell’esecuzione. Questo vuoto legislativo è stato considerato contrario al principio di eguaglianza e all’obiettivo di riabilitazione della pena, ed è per questo che la questione è stata portata alla Corte costituzionale.

La Corte ha stabilito che i giudici dell’esecuzione devono effettivamente avere il potere di valutare se i requisiti per questi benefici sono soddisfatti, ogni volta che la pena viene ridotta a meno di due anni in seguito a una riforma. Ha anche sottolineato l’importanza di questi benefici per il recupero dei condannati, affermando che devono essere applicati anche quando la pena finale è stabilita da riforme legate a scelte processuali.

La Corte ha affermato che il giudice dell’esecuzione avrebbe potuto concedere i benefici basandosi sulla legislazione corrente, interpretata secondo i principi costituzionali. Tuttavia, a causa di due recenti sentenze della Corte di Cassazione che interpretavano diversamente questa legge, la Corte costituzionale ha deciso di intervenire per assicurare la certezza del diritto in materia processuale, rendendo costituzionalmente illegale la mancata previsione esplicita della possibilità per il giudice dell’esecuzione di concedere questi benefici.

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